sabato 5 luglio 2008

"Q.B.", di Ruggiero Cornetta

Avevo promesso di riparlarne, dopo averne segnalato l’uscita, con alcuni dati biografici dell’autore e la quarta di copertina, lo scorso 20 marzo (qui). Torno dunque a riparlarne oggi, per confermare le doti dimostrate dal giovane Ruggiero Cornetta (classe 1985) nella sua opera d’esordio, Q.B., una raccolta di racconti pubblicata per Il Filo. L’autore supera la prova letterario-culinaria dimostrando di saper maneggiare e rimaneggiare stili, linguaggi e segni grafici differenti con la stessa sicurezza, a volte anche con audacia, pur rimanendo sempre (o quasi sempre: come nel racconto Liliale, dove l’autore non riesce a contenere la sua evidente passione per le multiformi espressioni della cultura greca classica, ma realizzando comunque un ottimo esercizio di stile ‘alto’) nel campo della gastronomia, adattandole volta per volta la trama di un thriller (con un ‘gustoso’ finale a due voci), quella di un racconto fantastico (ma con l’ariosa leggerezza di un racconto per ragazzi e lo spunto morale di un apologo alla Calvino), o ancora lo spazio contenuto e i dialoghi rapidi di uno spot. E proprio quello delle forme di comunicazione e della varietà dei segni grafici utilizzati è lo spunto di originalità che rende spigliata l’opera di Cornetta senza per questo risultarne sfacciatamente sperimentale o meramente giovanilistica (come dimostra la moda, assai lontana dallo stile dell’autore, dei racconti scritti in forma di sms).

Ma nel menù dei racconti di Cornetta, come del resto, probabilmente, in ogni altro menù culinario, sono tuttavia i dettagli a dare un senso al piatto, o al racconto. Ed è proprio nella descrizione di scene apparentemente insignificanti, ma che causano talvolta svenimenti improvvisi ai personaggi dei suoi racconti, che emergono tutte le qualità narrative dell’autore: come in questo caso, quasi un replay cinematografico, tratto dal secondo racconto, Il cuore del carciofo: «Come se qualcuno avesse tolto l’audio, Giampi distingueva solo immagini in movimento, e, tra queste, una sequenza gli raschiò la mente per la sua inquietante lentezza: una fila di denti piccoli e opachi si avventò sul panino, costrinse il pomodorino all’interno a una resistenza eroica, aumentò la pressione, vincendo la tenera polpa che si contraeva tutta per assumere la consistenza di uno scudo, poi l’affondo, dall’altra parte ancora resistenza e nera determinazione, la fine, in rosso, un grido (questo fu l’unico suono), stillicidio d’olio a terra con quei semini che il pomodorino non era riuscito a custodire».