È ambientato in Provenza, in una calda estate ai tempi di Luigi XIV, il romanzo di Giampaolo Papi, Il segreto della dama dei girasoli, edizioni Pendragon, Bologna 2009 (pp. 164, euro 13). È un’appassionante e tragica storia d’amore ricca di poesia. Protagonisti, una bellissima e raffinata dama e un valoroso cavaliere di ventura. Lei è promessa sposa del duca di Nîmes, lui è la sua “guardia del corpo”. L’idillio si trasforma in tragedia dopo la scoperta di una lettera compromettente e la delazione di un infido domestico. Sullo sfondo, le ipocrisie e le vanità dell’aristocrazia cortigiana intorno al re Sole.
Sarebbe una storia d’amore come tante altre, se non fosse che questa non ha un finale consolatorio né può ascriversi al genere d’evasione: al contrario, è un’intensa riflessione sulla vita, l’amore, l’amicizia, la felicità. Ed è una storia che incanta e seduce per un’altra semplice verità: è ben scritta. Perché è narrata con levità e pathos ad un tempo, e perché rende omaggio alla parola. Alla sua forza poetica e suggestiva, alla sua capacità di descrivere ed evocare. Ne Il segreto della dama dei girasoli, Papi sperimenta, infatti, con esiti interessanti, le possibilità combinatorie di prosa, poesia, musica e immagini.
L’autore, nato a Mesagne nel 1969 e che di mestiere fa il medico (è specialista di endocrinologia e malattie del metabolismo, responsabile del Modulo di Diagnosi e Terapia delle patologie tiroidee presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’azienda USL di Modena), non è nuovo alla scrittura. Ha già pubblicato diverse raccolte di poesie (Il canto delle ginestre, Schena, Fasano 1987; Brume d’occhi, Lalli, Poggibonsi 1990; Lettera del sole alla luna un’estate, La Vallisa, Bari 1997) oltre ad un saggio critico su Ungaretti (Il primo Ungaretti, Lacaita, Manduria 1988), e questa è la sua prima “prova” narrativa. Papi si inserisce così a pieno titolo nella lunga schiera di medici-letterati (è membro dell’AMSI, Associazione Medici Scrittori Italiani) che da Cechov a Cronin, da Carlo Levi a Mario Tobino, per menzionare solo alcuni fra i moderni (ma aggiungeremmo anche il meno noto eppur fondamentale editore ottocentesco del Corpus Hippocraticum, E. Littré, medico e filologo), con l’arte e la professione testimoniano la loro attenzione per l’uomo e la vita.
