È in libreria da poche settimane il secondo romanzo di Omar Di Monopoli, Ferro e fuoco (pp. 124, euro 14), pubblicato come il primo, Uomini e cani, per l’editore milanese ISBN e ripetutamente presentato nel mese di luglio appena trascorso in Puglia, a Manduria (città natale dell’autore, e dove vive), Melpignano, San Pancrazio Salentino, Porto Selvaggio, Torre Columena. Manca ancora, ma è prevedibile che si svolgerà molto presto, una presentazione del volume nelle terre arse, purtroppo non solo dalla calura estiva, del Gargano, dove è ambientato il romanzo. Omar Di Monopoli insiste dunque, come per il suo esordio, sulla strada del “western pugliese”, come è stato scritto da molti recensori, spostando però stavolta l’attenzione dal Salento, sua terra d’origine, all’estremità settentrionale della regione ma rimanendo ancorato, come per il romanzo precedente, a un contesto che sposa con successo alcuni «cliché del meridionalismo appulo», come li ha definiti Enzo Mansueto, alla vita reale di quei luoghi con particolare attenzione ai fatti di cronaca (la mafia del Gargano, la schiavitù di stranieri di tutte le etnie nella raccolta dei pomodori, gli incendi di Peschici e Vieste della scorsa estate) con i quali l’autore dimostra di avere una non comune dimestichezza.
Ondeggiando tra i serrati dialoghi nel dialetto garganico (molto ben ricostruito pur non essendo quello d’origine dell’autore) e nel pidgin dei migranti (nel romanzo compaiono personaggi turchi, romeni, nigeriani) e una prosa d’autore, al contrario, a tratti anche molto sostenuta («La luce ramata del tardo pomeriggio principiava a scolorare...»), Di Monopoli in Ferro e fuoco intreccia la storia di una faida interna a uno dei clan mafiosi del Gargano, quello del “Pellicano”, il sequestro nell’Italia centrale di una giovane donna modenese da parte del turco Kazim, caporale nei campi del Pellicano prima di essere ingiustamente accusato dello stupro e della morte della romena Mariehla, protetta dell’altro caporale e connazionale Andrej, e l’incendio di molti ettari di macchia mediterranea (tutti i dettagli fanno pensare agli eventi dello scorso anno a Peschici) rimasto fino alla fine, nella finzione narrativa ma anche nella realtà, senza accusati e quindi senza colpevoli. Un quadro complessivo che travalica, in certi tratti, lo stesso contesto della Capitanata offrendo anche uno spaccato inequivocabile del conflitto italiano sui temi dell’immigrazione, dalla criminalità alla schiavitù nei campi ai giudizi quasi sempre tranchant dei personaggi italiani del romanzo. Mossa tra l’esempio narrativo di Faulkner e l’immaginario cinematografico di Sergio Leone, quella di Omar Di Monopoli è, per usare le parole di Michele Trecca, «un’opera di invenzione più vera della realtà che affonda nelle viscere di chi legge questo ineludibile interrogativo: com’è possibile che gente incapace di andare oltre suoni gutturali simili a guaiti bestiali riesca ad esercitare il proprio dominio sulla Bellezza e la raffinata complessità del nostro mondo?».