Nata da pochi mesi, la casa editrice Chiarelettere ha subito trovato spazio e visibilità in libreria con titoli d'inchiesta sulla realtà politica e sociale italiana odierna, che costituiscono la sua precisa politica editoriale. Non è da meno rispetto ai titoli precedenti uno degli ultimi volumi, scritto dal giornalista pugliese Salvatore Giannella e intitolato Voglia di cambiare (pp. 240, euro 13,40), che comprende anche una testimonianza di Enzo Biagi. L'autore è nato a Trinitapoli, in provincia di Foggia, ha collaborato per le pagine della Capitanata della «Gazzetta del Mezzogiorno» prima di trasferirsi a Milano, dove ha ricoperto gli incarichi di inviato e direttore de «L'Europeo», direttore di «Genius» e di «L'Airone». Dal 2000 al 2007 ha curato le pagine di cultura e scienze del settimanale «Oggi», del quale attualmente è tra le principali firme. Proprio per «Oggi» ha pubblicato la recente inchiesta sulla “meglio Europa”, da cui trae spunto questo libro. Come ha riferito lo stesso autore in un'intervista rilasciata a Gino Dato, «Vuol essere il mio un libro che ispira fiducia e voglia di cambiamento. A tutti dice: si può cambiare, perché a pochi minuti da noi altri Paesi hanno raggiunto risultati che ci sembrano drammaticamente distanti. E invece no. In Inghilterra costruiscono 150mila case popolari l'anno, in Spagna i treni arrivano in orario senza che ci sia un regime fascista, in Francia il turismo avanza forte tanto da diventare il leader del settore, in Germania funzionano le energie dolci perché hanno detto no all'atomo ma sì a tutte le altre forme di ricerche di energia, in Svezia le morti bianche dei lavoratori non ci sono più perché un ombudsman dei lavoratori in ogni fabbrica con almeno cinque addetti pensa solo alla sicurezza».
Decisiva è, secondo Giannella, la questione politica alla base dei ritardi italiani su questi e tanti altri fronti: «Che non fossimo innamorati dei nostri amministratori è evidente da quello che si legge ogni giorno, ma che avessimo dimenticato una caratteristica comportamentale, quella di girare il mondo e importare quello che di buono c'è, dando una nuova veste condita con la creatività e la fantasia tutte italiane, è una grossa sorpresa. Una parte di responsabilità è nella classe politica, però credo che ci sia una sorta di fatalismo diffuso, epidermico nel Paese. La curiosità per quello che nel resto del mondo e negli altri avanza, è come venuta meno. Per un senso di "defuturizzazione", lo chiamo io, la sensazione spiacevole che non ci sia davanti il futuro da programmare e preparare con calma, per il quale impegnarsi a migliorare la propria posizione personale, familiare e collettiva».