giovedì 26 giugno 2008

"L'ultimo indizio", di Piernicola Silvis

È stato pubblicato da pochissimi giorni per l'editore Fazi, come era già accaduto per il suo esordio narrativo, il secondo romanzo di Piernicola Silvis, originario di Foggia, dal titolo L'ultimo indizio (pp. 275, euro 17). Il primo romanzo dell'autore risale a soli due anni fa, Un assassino qualunque, ma con questa nuova pubblicazione l'autore, dirigente della Polizia di Stato, incrocia la propria storia autobiografica con la storia recente d'Italia, in particolare con gli eventi di un vero e proprio annus horribilis della storia recente: il 1992, anno delle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche, ed è soprattutto di questo che parla il romanzo, della cattura del boss mafioso "Piddu" Madonia avvenuto il 6 settembre 1992 a Vicenza, da parte della Squadra Mobile alla quale faceva parte, in quel tempo, proprio Piernicola Silvis. Il Libro è già stato presentato a Roma, al Viminale, e verrà presentato in Puglia a Foggia, il prossimo 27 giugno alla Libreria Ubik, con la presenza del giornalista e critico letterario Michele Trecca.

Lo stesso Michele Trecca ha recensito proprio oggi, sulle pagine della «Gazzetta del Mezzogiorno» il romanzo di Silvis, evidenziandone in particolare il suo essere un «romanzo di nuova generazione», secondo un'idea di romanzo concepito come «semplice (per così dire) "delocazione di fatti" che trasmigrando in una diversa forma valorizzano e non rinnegano la propria fisionomia originaria. Dalla storia al romanzo senza pagare il pedaggio della deformazione della verità - quel pedaggio che spinse Manzoni alla rinuncia della pratica narrativa». Alla storia documentata della cattura del boss Madonia, infatti, l'autore unisce due microstorie di fiction, due immaginarie "separazioni" dalla moglie e da una grande amica. Scrive ancora Trecca: «Intrecciandosi fra loro, le tre componenti narrative, rafforzano la drammaticità del momento particolare della vita del protagonista. Ne scuotono la figura, la ravvivano. La voce di Silvis, che racconta in prima persona, ha, infatti, la forzosa serenità di chi deve essere assolutamente lucido perché impegnato (con ruolo di responsabilità) in un’azione ad alto rischio ma anche l’indicibile tormento di chi confusamente sa che sta per perdere - sul piano sentimentale - le persone più care. E non può farci nulla. È la maledizione dell’eroe borghese, che identifica se stesso nella professione, cui attribuisce un valore assoluto, affidando ad essa la propria identità. Poi vince, ma resta solo, con rimorsi e rimpianti almeno pari alle soddisfazioni. Tutti applaudono, ma lui è disperato, o quasi, comunque ferito, a morte».