Da poche settimane è in libreria un volume che raccoglie un'antologia di scritti e discorsi di Antonio de Viti de Marco, economista salentino nato nel 1858 e morto nel 1943, professore di Scienza delle Finanze fino al 1931, quando decise di non prestare giuramento al fascismo. Il volume, dal titolo Mezzogiorno e Democrazia liberale, è a cura di Anna Lucia Denitto, docente di storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Lecce, ed è pubblicato da Palomar (pp. 452, euro 26). Il volume permette di rileggere gli scritti di de Marco oltre gli schemi dell'iperliberismo, «che a lungo hanno pesato - scrive Denitto - sulla sua figura, superando l'ottica del falimento e dei risultati deludenti conseguiti dalla sua battaglia antiprotezionistica e meridionalista».
Ha scritto poi Felice Blasi sul «Corriere del Mezzogiorno» del 16 febbraio scorso: «La democrazia liberale di de Viti de Marco non divenne mai davvero democrazia partecipata, condivisa, protagonismo della società meridionale. Eppure le premesse perché potesse esserlo c'erano tutte. Aveva capito il ruolo fatale svolto dai gruppi organizzati, dalle oligarchie militari, burocratiche, industriali e proletarie, che frantumavano il senso della collettività, il rispetto della legge, il ruolo del Parlamento, fino a rendere il bene pubblico oggetto di "preda della sopraffazione dei gruppi", generando "ingiustizie economiche per cui i gruppi più deboli sono abbandonati alla spoliazione dei gruppi forti"».
